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Risposta logaritmica dell’udito e della vista

Tutti i nostri sensi vengono rilevati dal nostro cervello su un scala in intensità di tipo logaritmico. Questa particolarità dei nostri sensi ci permette di fare molte cose. La risposta logaritmica della nostra vista ad un segnale luminoso ci permette di vedere le stelle in una notte buia e di non rimanere abbagliati da un paesaggio illuminato dal Sole in pieno giorno. La risposta logaritmica dell’udito ci permette di ascoltare il fruscio delle foglie in una giornata di leggera brezza ma anche di sentire senza danni il rombo di un aereo che decolla.

L'udito

Da un punto di vista fisico per suono in un certo punto dello spazio si intende una rapida variazione di pressione (compressione e rarefazione) dovuta al passaggio di onde.

In fisica con il termine onda si indica una perturbazione che nasce da una sorgente e si propaga nel tempo e nello spazio, trasportando energia o quantità di moto senza comportare un associato spostamento della materia. Un'onda può essere caratterizzata da una singola oscillazione oppure da un treno o successione di onde aventi caratteristiche simili, come ad esempio la periodicità. In generale le onde sono caratterizzate da una cresta (punto alto), da un ventre (punto più basso), e da fronti d'onda di propagazione nel caso di treni di onde e sono classificabili in longitudinali o trasversali.

Un'onda meccanica è la propagazione di una perturbazione in un mezzo gassoso, liquido o solido con il trasporto di energia e quantità di moto. Il passaggio di un'onda meccanica causa nella materia una deformazione elastica: le particelle costituenti della materia perturbata subiscono una variazione della loro posizione iniziale nella quale ritornano solo quando l'ampiezza dell'onda si è azzerata.

Nelle onde trasversali la vibrazione è perpendicolare alla direzione di propagazione. Le onde longitudinali sono invece caratterizzate da una vibrazione concorde con la direzione di propagazione dell'onda.

 

Parametri di riferimento di un’onda sono:

  • La lunghezza d’onda λ (la distanza tra due creste successive);
  • L’ampiezza di un’onda periodica  (l’altezza di una sua cresta);
  • L’intensità di un’onda (proporzionale al quadrato dell’ampiezza);
  • Il periodo T ( l’intervallo di tempo tra due creste successive);
  • La frequenza f che è il reciproco del periodo T, ossia f = 1 / T ed è una grandezza fisica indipendente dall’ampiezza dell’onda.

Un'onda armonica è quel fenomeno vibratorio periodico (cioè caratterizzato da un'onda periodica) la cui legge di vibrazione è di tipo sinusoidale.

Le onde sonore sono onde meccaniche longitudinali che si propagano nei mezzi comprimibili o elastici e subiscono spostamenti rispetto alle posizioni di equilibrio creando variazioni di densità e di pressione, con la creazione di zone di compressione seguite da zone di rarefazione. La velocità di propagazione del suono nell'aria dipende dalla temperatura e dalla pressione atmosferica; in condizioni standard (T= 0 °C ; P= 1 atm) è 331 m/s. Nei liquidi e nei solidi il suono si propaga più velocemente.

Le onde meccaniche di frequenza inferiore a 20 Hz sono chiamate infrasuoni, quelle superiori a 20 000 Hz ultrasuoni. Queste frequenze non sono udibili dell’orecchio umano.

Ogni onda porta con sé un’energia e quindi una potenza. Tale potenza decresce con il quadrato della distanza dalla sorgente: a una distanza doppia si raccoglie un quarto della potenza.

Pressione acustica

La pressione sonora è l'ampiezza dell'onda di pressione, o onda sonora. Il livello di pressione sonora (SPL) o livello sonoro  è una misura logaritmica della pressione sonora efficace cioè della pressione quadratica media nell’intervallo di tempo dell'onda sonora rispetto ad una sorgente sonora di riferimento. Il livello di pressione è misurato in decibel (vedi scale logaritmiche) ed è definito dalla seguente relazione:

dove p0 è la pressione sonora di riferimento (è circa la soglia uditiva a 1000 Hz) e p è il valore efficace della pressione sonora che si vuole misurare.

tratto da http://fisicaondemusica.unimore.it

La Coclea

Ciò che permette all’uomo di "sentire" queste onde è la coclea. La coclea è la componente anteriore del labirinto dell’orecchio interno. La sua funzione principale è la trasduzione del segnale acustico sotto forma di onda meccanica in impulso nervoso sotto forma di segnale elettrico.

La coclea è formata da un canale osseo avvolto a spirale logaritmica (di cui parleremo in un capitolo successivo) intorno ad un nucleo di forma conica ad apice tronca. Intorno a tale nucleo il canale compie nel complesso due giri e tre quarti attraverso tre spire chiamate relativamente giro basale, giro medio e giro apicale (incompleto). Il tubo cavo che forma questa spirale misura 32-35mm di lunghezza e 2mm di diametro. Internamente la coclea è divisa in tre camere contenenti un diverso liquido ognuna separate da due membrane: la membrana di Reissner separa la scala vestibolare dalla scala media mentre la membrana basilare divide la scala timpanica dalla scala media. Sulla membrana basilare risiede l’organo di Corti, che contiene i recettori neuronali uditivi. Su tale membrana sono disposte longitudinalmente una fila di cellule ciliate interne (si stima 3.500) e tre file di cellule ciliate esterne (si stima 15.000).

La trasmissione del suono è dovuta a una pressione differenziale nel fluido tra le camere che suddividono la coclea provocate dalle onde acustiche.

L’eccitazione locale della membrana basilare provoca il piegamento delle ciglia dell’organo di Corti. Questo attiva un meccanismo di feedback attivo che conferisce al sistema uditivo caratteristiche di sensibilità e di risoluzione in frequenza. Il piegamento delle ciglia interne in un preciso punto della spirale (determinato dalla frequenza dell’onda) modifica la permeabilità della membrana cellulare agli ioni, generando quindi un segnale neurale diretto al cervello, dal quale riparte un segnale elettrico che ritorna alle cellule ciliate esterne nello stesso punto della spirale. Queste reagiscono allo stimolo nervoso con una contrazione meccanica che viene amplificata in modo attivo. L’amplificazione attiva consiste in un’immissione di potenza da parte del sistema nervoso ogni volta che quella regione della coclea viene stimolata.

La teoria più valida presentata finora per la discriminazione della frequenza è la teoria posizionale o tonotopica, secondo la quale le proprietà geometriche della cavità cocleare e le proprietà di elasticità e densità della membrana basilare variano lungo la direzione longitudinale in modo da realizzare una condizione di risonanza in posizioni diverse per ogni frequenza.

La relazione tra la posizione e la frequenza è espressa per i mammiferi dalla funzione:

ω(x) = ω1 +ω0e−kwx

con ω1, ωe kw costanti caratteristiche di ogni specie. Per l'uomo ω1=-900 rad/sec, ω0=1,3.105 rad/sec e kw=1,38 cm e la funzione è detta mappa di Greenwood.

Questo tipo di mappa implica che distanze uguali lungo la coclea corrispondano ad intervalli logaritmici di frequenza, ossia che un’ottava corrisponda sempre alla stessa estensione lungo la coclea, indipendentemente dalla frequenza.

Danni Acustici all’Orecchio

Contrariamente a una opinione molto diffusa, il timpano è messo in pericolo solo da forti impulsi rumorosi (esplosioni). In tutti gli altri casi è l’orecchio interno che subisce i danni. Un’esposizione eccessiva al rumore causa prima di tutto una diminuzione della sensibilità delle cellule ciliate.

Il rischio di un deficit acustico da rumore dipende dal livello del rumore e dalla durata dell’esposizione, ma non dal fatto che il suono che percepiamo sia gradevole o sgradevole alle nostre orecchie. La durata dell’esposizione gioca un ruolo altrettanto importante come quello del livello. L’esposizione ad un rumore di 100 dB per un’ora è quindi meno dannosa di quella di 90 dB per 20 ore.

La vista

Il dibattito sulla natura della luce

Il primo tentativo di spiegare la natura della luce risale a Pitagora (Samo, tra il 580 a.C. e il 570 a.C. – Metaponto, 495 a.C. circa): egli pensava che i nostri occhi fossero dei “fari”, che emettevano raggi luminosi verso gli oggetti attorno a noi, permettendoci così di vederli. Questa prima interpretazione fu accettata per molto tempo. Nel Seicento ebbe inizio un dibattito fra due scuole di pensiero che ipotizzavano due modelli molto diversi. Secondo la teoria corpuscolare, sviluppata da Isaac Newton nel 1672, la luce era costituita da un flusso di minuscole particelle, che viaggiavano in linea retta attraverso i corpi trasparenti e rimbalzavano sulla superficie dei corpi opachi. Il vantaggio di questa teoria era di poter studiare l’ottica con la meccanica spiegando così vari fenomeni luminosi, come la propagazione rettilinea e la riflessione. La teoria ondulatoria, proposta inizialmente da Renè Descartes e Robert Hooke e successivamente da Christian Huygens nel 1690, considerava invece la luce come costituita da onde che si propagano trasportando energia (ma non materia), in modo simile alle onde elastiche. La teoria ondulatoria presentava la difficoltà di spiegare come le onde luminose potessero passare attraverso lo spazio vuoto che separa, per esempio, il Sole dalla Terra. Questo portò a supporre l'esistenza dell'etere. Ma tale ipotesi non fu accettata da parte degli scienziati, e la  teoria ondulatoria si affermarò solo nella prima metà dell’Ottocento, a seguito dell’esperimento della “doppia fenditura di Young”, esperimento la cui spiegazione proveniva dal fenomeno dell’interferenza e non dalla teoria corpuscolare. La questione dell’etere venne poi risolta con  la teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell, secondo la quale le onde luminose, come qualsiasi altra onda elettromagnetica, non sono vibrazioni di natura meccanica ma elettrica e magnetica, in quanto non richiedono un supporto materiale. Le ultime scoperte, fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso, portarono infine a stabilire la duplice natura della luce: in certi casi si comporta come onde, in altri come corpuscoli (i fotoni, che sono privi di massa, ma dotati di energia e sempre in moto alla velocità della luce).

L'occhio

L'occhio è l'organo di senso principale dell'apparato visivo, ha il compito di ricavare informazioni sull'ambiente circostante attraverso la raccolta della luce che gli proviene, regolandone l'intensità attraverso un diaframma: l'iride. Dopo averla messa a fuoco attraverso un sistema regolabile di lenti, costruisce l’immagine sulla retina. Infine trasforma l'immagine in una serie di segnali elettrici che attraverso il nervo ottico vengono inviati al cervello per essere elaborati ed interpretati. La fila di cellule nella parte posteriore della retina è costituita da due tipi di fotorecettori: i coni ed i bastoncelli. I bastoncelli, più numerosi dei coni, sono responsabili della visione in condizioni di scarsa illuminazione (visione notturna o scotopica), mentre non sono utilizzati in condizioni di illuminazione diurna. I coni si attivano solo ad alti livelli di illuminazione (visione diurna o fotopìca), ma sono responsabili della capacità di distinguere i dettagli molto fini e della visione dei colori. Verso la parte anteriore dell'occhio, si trova lo strato intermedio della retina che contiene tre tipi di cellule nervose, tra le quali le cellule bipolari che ricevono i segnali dai coni e dai bastoncelli. La parte nasale della retina invia gli impulsi nervosi alla parte mediale del nervo ottico che, incrociandosi a livello del chiasma, li trasferisce all'emisfero controlaterale. La parte temporale della retina invia invece le sue informazioni all'emisfero omolaterale. Attraverso una stazione sinaptica a livello del nucleo genicolato laterale, gli impulsi nervosi giungono in alcune zone specifiche poste nella corteccia occipitale.

Per campo visivo si intende la proiezione ottica della rappresentazione visiva del mondo esterno sulla retina. L'uomo ha una visione binoculare molto ampia, che gli consente per altro di capire la distanza tra gli oggetti; i due campi visivi laterali possono essere visti soltanto dall'occhio dello stesso lato. Poichè le fibre nervose provenienti dalla parte nasale della retina si incrociano a livello del chiasma ottico, il tratto ottico sinistro contiene una rappresentazione completa di metà del campo visivo  destro e il tratto ottico destro una rappresentazione completa di metà del campo visivo sinistro. La combinazione dei segnali provenienti dai due occhi permette di attivare la percezione tridimensionale degli oggetti del mondo esterno.

L'occhio è sensibile a un illuminamento ambientale, cioè al flusso luminoso incidente sull'area unitaria, compreso tra 10-8 e 15.000 lux (1 lux =1 lumen m2). Valori di illuminamento superiori a 15.000 lux sono al limite della tollerabilità dell'occhio umano e possono provocare danni permanenti alla retina; incidenti di questo tipo possono accadere, ad esempio, osservando il Sole con un telescopio privo di filtri, oppure operando con laser di potenza senza le dovute precauzioni. L'intensa illuminazione del Sole allo zenit è equivalente a circa 136.700 lux.

Fino a livelli di illuminamento di circa 3x10-4 lux è attivata la visione acromatica indotta dai bastoncelli. È in queste condizioni che l'occhio è in grado di percepire le stelle più deboli. I colori si cominciano a percepire, sia pur debolmente, da 3xl0-8 lux fino a 1 lux, quando sono attivati, anche se in diversa misura, sia i coni sia i bastoncelli. Ad esempio, la visione dei colori della luna piena, che fornisce un illuminamento di circa 0.3 lux, è possibile anche se cromaticamente molto povera. La percezione di tutte le tonalità cromatiche si ha con livelli di illuminamento superiori a 1 lux, quando sono invece pienamente stimolati i fotorecettori dei coni.

Come detto nel capitolo sulla magnitudine, la risposta dell’occhio umano alla luminosità di una sorgente è di tipo logaritmico: più precisamente la luminosità soggettiva (intensità percepita dal sistema visivo umano) è una funzione logaritmica dell'intensità della luce incidente sull'occhio. Quella che noi percepiamo come intensità luminosa di una sorgente è una parte della potenza dissipata dalla sorgente stessa: ad esempio, il classico filo di tungsteno della lampadina a incandescenza si scalda, quindi emette energia termica e luminosa. Si può notare che mettere una lampadina da 20 W o da 25 W non fa molta differenza alla nostra vista. Per “avere più luce” bisogna andare verso quelle da 40 W o 60 W, e il passo successivo sarebbe mettere quelle da 100 W. Praticamente passando da 20 a 40 W possiamo notare lo stesso cambiamento di quando passiamo da 5 a 10, o da 50 a 100. Questo concetto è ben noto ai fotografi, che per confrontare diverse impostazioni di esposizione (tempo di esposizione, apertura del diaframma, sensibilità) usano il concetto di stop. Aumentare l’esposizione di uno stop significa far entrare il doppio della luce; abbassare di uno stop significa farne entrare la metà. Quindi due stop in più significano quattro volte tanta luce, tre stop in più otto volte, quattro stop in meno un sedicesimo della luce, e così via. I tempi vanno via via dimezzandosi (all’incirca: in realtà il riferimento è quello del millesimo di secondo, e raddoppiando si perdono via via alcuni decimali), perché ad ogni dimezzamento entra la metà della luce, cioè si scende di uno stop. 

La risposta logaritmica dell'occhio fa sì che ad uguali variazioni del logaritmo della luminosità corrispondano identiche variazioni nella percezione dei rapporti di luminosità. Nell’intervallo di intensità luminose intermedie, la maggioranza dei fotorecettori risponde seguendo la legge

dove I è l’intensità dello stimolo e DV è la variazione di potenziale di recettore.